“Il Bastardo” di Mariano D’Angelo, l’antica Roma è un romanzo d’avventura che sembra un film

Attore, autore e scrittore, Mariano D’Angelo è campano di origine ma romano d’adozione fin dall’infanzia. Dopo un inizio nel cabaret insieme a Enzo Salvi, ha scritto diverse commedie teatrali ed ha recitato in numerosi film. Da una ventina di anni è autore televisivo per programmi Rai e Mediaset. A inizio 2021 ha pubblicato il suo primo romanzo, “Il Bastardo”, ambientato nell’antica Roma.  In questa intervista per il nostro magazine ci spiega come ha immaginato l’avvincente protagonista del suo libro e come ogni storia abbia bisogno del linguaggio giusto per esprimere al meglio le emozioni.

Che storia è quella di Apollonio, protagonista del suo romanzo d’esordio “Il bastardo”?

È un’avventura. Apollonio, eroico legionario del V secolo a.C., è un uomo diviso due culture: quella della Magna Grecia, da cui proveniva sua madre, e quella del padre, facoltoso mercante romano che non lo ha mai amato. Neanche Roma lo ama. Gli stessi uomini che in combattimento vogliono stargli al fianco per avere più possibilità di sopravvivere, fuori dal campo di battaglia lo chiamano con disprezzo Spurio, il Bastardo. Ma se tra i militari può guadagnarsi il rispetto degli altri con la sua abilità di guerriero, tra i civili il suo valore non basta: quando un ricco e influente magistrato romano si invaghisce di sua figlia e la rapisce, Spurio è coinvolto in una guerra più insidiosa e crudele di quelle combattute come legionario. Il campo di battaglia, stavolta, è una città sporca e corrotta, disseminata di bordelli e flagellata da periodiche pestilenze, guidata da pochi privilegiati che tramano nell’ombra, ordiscono intrighi, commissionano omicidi e soprusi per ottenere ciò che vogliono. Claudio, il magistrato, è uno di questi oscuri e potenti manipolatori della vita pubblica romana. Licia, la bellissima figlia sedicenne di Spurio, è il bottino che vuole ottenere, anche se la ragazza non lo ricambia. Per salvarla, suo padre dovrà combattere con tutte le sue forze, anche con armi che ancora non conosce; dovrà attraversare territori ostili, cercare alleati e sacrificare affetti; dovrà imparare qualcosa su sé stesso e sulle sue priorità. Questa vicenda stravolgerà le vite di tutti i personaggi, come una tempesta. Certe guerre non hanno vincitori: sul campo restano solo caduti, e uomini cambiati per sempre.

Lo ha scritto pensando già a una trasposizione cinematografica?

Mi piace raccontare delle storie, e quella di Spurio è una di queste. Complessa, piena di colpi di scena, d’amore e di trasporto. Con Maria Teresa Bilancia, che lo ha scritto con me, ci siamo spesso divertiti ad immaginarlo come un film e ci chiedevamo chi potesse interpretarne i protagonisti. Le molte osservazioni dei lettori che abbiamo avuto, concordano nel descriverlo come un romanzo “cinematografico”. Probabilmente si presta bene ad una riduzione cinematografica o di serie.

Nel romanzo si nota una grande cura dei personaggi minori. Quanto sono importanti in ogni storia?

Credo lo siano molto. In questo romanzo c’è molto di me anche se non c’è nulla che mi sia veramente capitato. In passato ho interpretato dei ruoli cinematografici minori e quando mi ritrovavo a recitare un personaggio poco curato perché secondario, ne ho sempre sofferto. Qui i personaggi minori entrano talvolta fugacemente nella storia, ma ne costituiscono un tassello imprescindibile. Mi sono divertito a caratterizzarli psicologicamente per renderli più vividi.

Che cosa la affascina di più dell’antica Roma?

Ho sempre amato la storia di Roma, in particolare ma non esclusivamente la storia della Repubblica. Forse perché è a tinte forti, con dinamiche contrastanti molto spiccate. Si passa da atti di eroismo a sordide trame con naturalezza. Anche nel mio romanzo ci sono descrizioni forti, con guerre e eroismi, sesso e morte, tradimenti e pietà che si rincorrono incessantemente.

E della Roma di oggi cosa le piace e cosa non la convince?

Io ho scelto Roma. Non sono romano anche se ci vivo dall’infanzia. Sono riuscito però a mantenere viva la mia curiosità ed ancora adesso provo a scoprirla. Le sue bellezze nascoste, le sue grandiosità e i capolavori accumulati nei secoli. Roma è sempre rimasta qui, nello stesso posto e sempre vissuta. Chi vuole può riconoscere il passare degli anni e degli artisti. Mi dispiace che tanti miei concittadini diano tutto per scontato. Invece scavando, metaforicamente, si possono imparare ancora tante cose.

Tra i linguaggi e scritture che pratica nel suo lavoro (tv, teatro, prosa…) quale preferisce e perché?

Non ho un linguaggio preferito, ma privilegio quello che mi permette di esprimere le sensazioni, le emozioni e i concetti che desidero condividere. Non sempre centro il bersaglio, ma ho sempre avuto il privilegio di seguire le mie intuizioni. Qualche volta si sono rivelate sbagliate, altre volte un successo, ma non ho mai rimpianti. Se posso, nel lavoro, preferisco rischiare.

Sta lavorando a nuovi progetti in tv o a teatro?

Sono impegnato con Raiplay in un format molto interessante. Mi piace molto Raiplay perché è molto vivace, giovane e con prospettive future enormi. Spero presto di poter fare la mia prima regia cinematografica con un soggetto che sto sviluppando in queste settimane.

Qual è il programma tv di cui è autore che le ha dato maggiori soddisfazioni e quale tipo di programma sogna di poter scrivere? 

Sono legato sentimentalmente al mio primo programma “Libero”, su RaiDue, che con Teo Mammucari segnò un’epoca. Io ero un giovane autore voglioso di imparare dai più grandi e ho avuto ottimi maestri. Ricordo sempre con gratitudine la fiducia che mi ha dato Antonio Ricci, tra gli altri, quando avevo ancora poca esperienza. Mi piacerebbe portare in scena un programma che parli di Roma, in modo diverso. Diciamo che ci sto lavorando.

Frequenta mai i centri commerciali?

Assolutamente sì. Anche al Maximo mi capita spesso di venire, abitando in zona mi attrae particolarmente. Vado, però, un po’ dappertutto. Il centro commerciale lo vivo non solo per gli acquisti, che ovviamente sono resi più facili, ma anche come polo di aggregazione. Hanno sostituito spesso la piazzetta di una volta, con una dose di sicurezza in più. Per questo non mi dispiace che le mie figlie ci vadano per socializzare con gli amici.

 

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